Vivaldi, vita e riscoperta - Pagina 2 - Associazione Sicut Lilium

Antonio Vivaldi
La vita di Antonio Lucio Vivaldi (nato a Venezia nel 1678 e morto a Vienna nel 1741), detto il Prete Rosso per via del colore dei suoi capelli (nei ritratti celati da parrucche, com’era uso all’epoca), così come le vicende legate alla riscoperta dei suoi lavori e alla fortuna della sua musica sono avvincenti e misteriose, degne di un romanzo.
Suo padre fu barbiere e musicista part-time, fino a quando nel 1686 si votò completamente alla musica fondando il «Sovvegno dei musicisti di Santa Cecilia», presieduto dall’illustre Giovanni Legrenzi.
Vivaldi potè studiare precocemente il violino con il padre, probabilmente già nella sua bottega di barbiere, ove era uso far trovare agli avventori strumenti musicali con i quali intrattenersi.
Fu probabilmente indirizzato dalla madre agli studi ecclesiastici forse per un suo voto fatto al momento del parto (il neonato sarebbe diventato sacerdote se fosse sopravvissuto). Impedito a celebrare la messa, sin da un anno dopo l’ordinazione sacerdotale, dalla «ristrettezza di petto» (forse un asma bronchiale) che lo affliggeva dalla nascita, non se ne fece però limitare per i suoi numerosi viaggi.
Fu tra i più virtuosi violinisti del suo tempo, compositore influente, esponente di spicco del tardo Barocco veneziano; la sua produzione è vastissima e contribuì significativamente allo sviluppo del «concerto» e della tecnica del violino.


Il fondo Foà-Giordano
Come avvenne per molti compositori del Barocco, dopo la sua morte il suo nome e la sua musica caddero nell’oblio. Sarà solo verso la fine dell’Ottocento che si comincerà nuovamente a parlare di lui, quando, con lo sbocciare di vari studi su J. S. Bach, emerse che Vivaldi aveva suscitato l’interesse del sommo Kantor. Seguirono alcuni studi ed un primo catalogo delle sue opere. Fu però solo poco prima della metà del XX secolo che si tornò a parlare più diffusamente di Vivaldi, grazie al ritrovamento di una collezione amplissima di manoscritti, avvenuta in modo avventuroso e straordinario: la collezione Foà-Giordano.
Basti qui ricordare che il fondo Foà-Giordano, comprendente 80 cantate, 42 opere sacre, 20 opere, 307 brani strumentali e l’oratorio Juditha triumphans, ora conservato presso la Biblioteca Nazionale di Torino, vi giunse però solo negli anni Trenta in seguito alle interessanti vicende che seguirono la vendita di alcuni manoscritti da parte di un Collegio Salesiano di Casale Monferrato, di cui si ignorava l’autore: quei manoscritti, lascito del marchese Durazzo, si rivelarono essere l’esatta metà di un’eredità risalente al Settecento. Si cercò l’erede della metà mancante (i fascicoli erano stati separati in due parti, ad un erede i fascicoli pari, all’altro i dispari) e, individuatolo a Genova, fu necessaria tutta la delicatezza del confessore, un gesuita di grande perizia, per ottenere dal proprietario l’accesso alla sua biblioteca personale.
Il nome del fondo è legato a Foà, ricco agente di cambio, e Giordano, facoltoso industriale tessile, che si fecero persuadere ad acquistare le due parti del fondo per donarle alla Biblioteca Nazionale di Torino, in memoria dei rispettivi figli, morti in tenera età.
Finalmente, nel settembre 1939, alcuni di quei brani, riveduti da A. Casella ed altri, furono eseguiti durante la «Settimana celebrativa di Antonio Vivaldi». Da allora è iniziata la riscoperta e la fama attuale del Prete Rosso.

 

Venezia e l’Ospedale della Pietà
Il luogo primo di espressione della musica sacra a Venezia, da sempre, e dunque anche nel ‘700, è la Cappella Ducale di San Marco. Nel periodo in cui vive Vivaldi è già divenuta un’istituzione secolare, dotata di tradizione solidissima che diviene essa stessa simbolo dell’orgoglio e della forza indipendente della Serenissima; così è descritta la Cappella dagli amministratori stessi:

«gioia ch’adorna il suo diadema regale che lo fa risplendere in faccia a tutto il mondo cristiano, ch’ammira in essa non solo la singola pietà della Repubblica, ma anche la sua regia grandezza».

Venezia concentra sforzi economici e politici nel mantenimento ad alto livello della Cappella Ducale, anche perché San Marco in quel periodo ancora non gode del titolo di Cattedrale ed è emanazione diretta del potere tutto laico del Doge.
Le forze produttive, i musicisti, oltre a lavorare per la Cappella Ducale possono anche impegnarsi per i quattro Ospedali Grandi della città, che, insieme alla Cappella Ducale, formano la struttura di base della musica istituzionalizzata di Venezia.
Gli Ospedali sono gestiti da una congregazione laica aiutata dalla Repubblica Veneta; tra questi l’Ospedale della Pietà, in cui Antonio Vivaldi lavorò per lunghi periodi.
Gli Ospedali Grandi, raccolgono vari strati della società, dai più poveri, reietti, malati cronici, anziani, fin su, su alle «figlie di comun» e soprattutto alle «figlie di coro», ragazze orfane o abbandonate in tenerissima età.
Inizialmente gli abbandoni avvengono nella «scaffetta», una nicchia di dimensioni piuttosto ridotte nel perimetro dell’istituto, sostituita in seguito dalla più ampia «ruota».
I bambini ed i neonati sono qui abbandonati dai genitori per i motivi più disparati, da quelli economici, alle dispute familiari, alle intenzioni educative.
Sì, perché a differenza di altri ospizi, gli Ospedali si ammantano di un volto artistico, con l’ornamento delle «figlie di coro» che si occupano del canto, ma vengono educate anche al suono degli strumenti. Ed eccellono. Eccellono grazie a celebri maestri come Nicola Porpora, Johaun Adolf Hasse, Francesco Gasparini e Antonio Vivaldi che avrebbe portato l’orchestra della Pietà a fama internazionale nel periodo (1703-1740) del suo servizio presso questa istituzione.
L’eccellenza artistica nasce da una formazione rigorosa di alto livello di cui talvolta cercano di servirsi anche famiglie benestanti, pur non avendone diritto: ancor oggi si può trovare in Venezia questa iscrizione del Doge (nell’ortografia dell’epoca):

«Fvlmina il Signor iddio maledizioni e scomuniche contro quelli quali mandano o permettano syno mandati li loro figlioli e figliole si legittimi, come naturali in questo Hospedale della Pietà havendo il modo, e facvlta di poterli allevare esseendo obligati al risarcimento di ogni danno e spesa fatta per quelli, ne possono esser assolti se non sodisfano, come chiaramente appare nella bolla di nostro signor Papa Paolo terzo
Data Adl 12 Novenbre  L’anno 1548 »


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